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Da "POPOLI" (mensile dei Gesuiti) del dicembre 2004

(sito internet: www.gesuiti.it/popoli/index.html)

 

 

Dossier AIDS - In Africa

ETIOPIA, EMERGENZA NELL'EMERGENZA

 

di Emanuele Fantini

 

Al dramma delle continue carestie, in questi ultimi anni si è aggiunto il rapido diffondersi del virus dell’Hiv-Aids che ha trovato impreparato il fragile sistema sanitario nazionale. Entro il 2015, il Paese rischia di perdere il 60% degli adulti e, con loro, risorse e occasioni per lo sviluppo.

 

Nel 2004 in Etiopia le piogge sono state regolari e il raccolto soddisfacente. Nonostante ciò, in base all’appello lanciato da Governo e Onu, nel 2005 la sopravvivenza di 7 milioni di persone (su una popolazione di 70 milioni), dipenderà dagli aiuti alimentari internazionali. E, mentre il Paese cerca con fatica di risollevarsi dagli effetti dell’ultima carestia, l’esplosione dell’emergenza Aids rischia di abbattersi come una scure sui suoi sforzi per lo sviluppo.

In base ai dati forniti da Stephen Lewis, rappresentante speciale del Segretario Generale Onu per l’Aids, ogni giorno in Etiopia il virus infetta mille persone. Le stime ufficiali parlano di tre milioni di infetti, collocando così l’Etiopia al terzo posto (dopo Sudafrica e India) nella classifica dei Paesi con il maggior numero di persone infette. E il 90% di queste si trova nella fascia produttiva che va dai 20 ai 49 anni. Entro il 2015, l’Etiopia rischia di perdere il 60% degli adulti e, con loro, risorse e occasioni per lo sviluppo. Ma il problema non riguarda soltanto gli adulti, come evidenzia Bjorn Ljungqvist, direttore dell’Unicef in Etiopia: «Nella fascia d’età tra i 15 e i 25 anni, una ragazza su 10 e un ragazzo su 18 sono infetti dal virus. E nelle città la situazione è peggiore rispetto alle campagne: un ragazzo su sei ha l’Aids». I malati di Aids occupano ormai la metà dei letti d’ospedale. Un peso insostenibile per un sistema sanitario già carente. «La spesa sanitaria pro-capite è tra le più basse al mondo - spiega Augusto Cosulich, coordinatore di un progetto di sostegno al settore sanitario nazionale finanziato dalla Cooperazione Italiana -. Secondo l’Oms la spesa minima pro-capite dovrebbe essere di 32 dollari l’anno. In Etiopia se ne spendono soltanto 5,3, di cui meno di un terzo deriva dalla spesa pubblica, mentre il resto esce dalle tasche dei cittadini».

Rispetto a Sudafrica, Zambia o Uganda, dove la percezione del problema e le conseguenti politiche di prevenzione e controllo sono in atto da diversi anni, l’Etiopia appartiene alla cosiddetta «seconda ondata» di Stati colpiti dall’emergenza Aids. Da qui il grande ritardo da parte delle autorità nazionali nel riconoscere e parlare del problema: soltanto nel 2001 l’Aids è stata ufficialmente dichiarata emergenza nazionale. Sulla carta esiste un sistema di istituzioni a vari livelli incaricate di prevenire e combattere il virus. Nella pratica, in diverse aree del Paese il sistema non è ancora in funzione mentre, laddove già esiste, si scontra con tutti i limiti e le scarse capacità delle amministrazioni locali, soprattutto nelle aree più marginali. Anche se le autorità regionali stanno promuovendo centri per il test e l’ascolto in ogni distretto, la maggior parte delle persone continua a essere a 4-5 ore di cammino dal più vicino centro sanitario e di test volontario.

Il Governo, anche per la pressione delle multinazionali farmaceutiche (qualcuna di loro, come ad esempio Glaxosmith, sedeva anche tra i donatori con un contributo di 650mila dollari al programma sanitario nazionale), promette cure antiretrovirali per tutti: si tratta di una terapia a base di farmaci che tengono sotto controllo gli effetti della malattia. «In Etiopia siamo ancora agli inizi - spiega Cosulich - visto che fino a 4-5 mesi fa, gli antiretrovirali non erano neanche inseriti nella lista dei farmaci riconosciuti e quindi, chi se lo poteva permettere, si rivolgeva al mercato nero». Oggi i pazienti pagano dai 259 ai 690 birr al mese (da 25 a 69 euro): ancora troppi visto che lo stipendio medio di un insegnante è 500 birr e la terapia dura tutta la vita. Il prezzo non è l’unico problema, visto che si tratta di farmaci complessi e, per distribuirli, occorre una formazione particolare. Oggi soltanto alcuni ospedali sono in grado di farlo: ad Addis Abeba sono solo 12 quelli autorizzati. «Esiste poi un dilemma etico legato all’uso degli antiretrovirali - continua Cosulich -. Se vengono distribuiti a tutti a prezzi accessibili o, addirittura gratis, come richiesto dalle associazioni di sieropositivi, c’è il rischio di un abbassamento della guardia e di minor attenzione alla prevenzione, con il conseguente aumento dei contagi, come è avvenuto in Uganda. Purtroppo però, non esistono al momento alternative agli antiretrovirali. L’unica è la prevenzione: bisogna non infettarsi».

La sensibilizzazione è quindi cruciale per limitare i danni, non solo sul piano sanitario, ma anche su quello sociale, soprattutto nelle aree più a rischio. Come Bahir Dahr, capitale della regione Amhara, centro in espansione e punto di passaggio, con un tasso di prevalenza del virus del 23,4%, il più alto del Paese. In questa regione opera una ong italiana, la Comunità Volontari per il Mondo (Cvm), che ha iniziato a sensibilizzare la popolazione nel 1996, attraverso notiziari radio, pubblicazioni di materiale informativo e corsi di formazione per varie fasce della popolazione. «Il livello di fraintendimenti, credenze, superstizioni è alto - spiega Elisa Cerrato, volontaria del Cvm -. La gente sa che l’Aids esiste, ma non conosce le vie di trasmissione e contagio. Ciò fa aumentare ancora di più lo stigma e l’emarginazione. Ad esempio, una persona molto magra viene associata automaticamente all’Aids, a causa delle prime campagne informative che ritraevano tutti i malati come scheletrici. Oppure è ancora alta la paura di contaminazione in luoghi pubblici, così come l’incomprensione sulla trasmissione da madre a bambino. La prevenzione di quest’ultima via di trasmissione è appena agli inizi nei Paesi in via di sviluppo, non solo per mancanza di kit medici per il parto, ma per carenza di personale specializzato che sappia fornire un pacchetto completo di formazione per le madri sul test Hiv, sull’allattamento e una buona assistenza in caso di sieropositività».

Molto spesso sono i bambini a pagare il prezzo più alto: il numero degli orfani e di quelli che smettono di frequentare la scuola per mantenere i fratelli più piccoli è in aumento. Si calcola che siano 34 milioni nell’Africa subshariana, di cui 1,2 nella sola Etiopia. Ma a livello nazionale non esiste ancora una strategia del Governo per affrontare il problema. «Occupandoci di Aids abbiamo finito per doverci occupare anche di orfani e bambini di strada, cioè di una delle conseguenze dell’epidemia», sottolinea Elisa. «Per prevenire l’afflusso di nuovi bambini sulle strade delle grandi città, abbiamo avviato due progetti pilota in aree rurali per accogliere temporaneamente i bambini di strada in un dormitorio e facilitare successivamente il loro reinserimento nella comunità, attraverso il ricongiungimento con una famiglia, l’educazione e l’avvio di piccole attività generatrici di reddito».

Piccoli, ma concreti passi che si muovono in uno scenario nazionale e internazionale complesso. I fondi e le iniziative internazionali a favore dell’Etiopia sono in aumento, anche se non mancano di scatenare appetiti e sollevare interrogativi. Ce la faranno le fragili istituzioni etiopiche a gestire i soldi in arrivo, trasformandoli in servizi efficaci per la popolazione? Verranno forniti antiretrovirali a basso costo da Paesi come India, Brasile e Sudafrica, oppure quelli più cari delle grandi compagnie farmaceutiche americane che sono tra i principali sostenitori dell’«Iniziativa del Presidente Bush per la lotta all’Aids»? E come mai il Governo aveva dichiarato che il 30% dei fondi provenienti dal Global Fund contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria sarebbero stati gestiti dalle ong, ma poi nel piano d’azione annuale ha ridotto questa percentuale al 5%? Quello che è certo è che occorre agire con chiarezza e rapidità. I prossimi dieci anni saranno cruciali per capire se l’emergenza Aids in Etiopia verrà controllata, oppure se esploderà distruggendo vite umane, speranze e risorse per lo sviluppo.

 

 

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aggiornamento pagina: 5 gennaio 2005