ARTICOLI E PUBBLICAZIONI Da "MISSIONI CONSOLATA" (mensile dei Missionari della Consolata) di Ottobre-Novembre 2003 (sito internet: www.missioniconsolataonlus.it) "LA GUERRA. LE GUERRE. Viaggio in un mondo di conflitti. E di menzogne" Numero monografico dedicato alle guerre nel mondo.
Etiopia-Eritrea: una guerra tra poveri UNA SPINA CHIAMATA BADME
di Benedetto Bellesi
Uniti nella lotta al regime feudale del negus e a quella marxista di Menghistu, i due popoli si sono azzuffati per pochi chilometri di confini pietrosi. E la gente muore di fame.
Etiopia ed eritrea hanno in comune una storia secolare, non sempre pacifica. Pur essendo legata al regno etiope, l'Eritrea ha sempre goduto di una certa indipendenza, finché Hailé Selassié ne fece una provincia del suo impero feudale (1962). Il Fronte Popolare di Liberazione dell'Eritrea (Fple) cominciò la guerriglia contro il negus, poi contro Menghistu, che con un golpe militare aveva deposto l'imperatore (1974) e dato vita al regime marxista-leninista. Nel 1977 l'Etiopia si trovò a combattere su due fronti: i ribelli eritrei e la Somalia, che aveva invaso l'Ogaden. Appoggiato dai sovietici e cubani, l'esercito etiopico respinse i somali senza fatica; la guerra contro gli eritrei, invece, continuò seminando rovina e morte su entrambi i fronti. Nel frattempo altri gruppi etnici (tigrini, wollo, oromo...) si organizzarono in fronti di liberazione per sbarazzarsi del regime e rivendicare il governo delle proprie regioni. Quando i vari fronti si coalizzarono riuscirono a mettere in fuga il dittatore (1991). Seguirono sei anni di pace e di ricostruzione. L'Etiopia si diede una costituzione federale, benché le leve del potere rimasero in mano ai tigrini, a partire dal presidente, Meles Zenawi. L'Eritrea, invece, guidata da Isaias Afwerki, dopo un referendum popolare (1993), dichiarò la sua piena indipendenza. I due stati erano additati come esempi del "rinascimento dell'Africa".
A rompere l'incanto, nel 1998, sopravvenne una lite di confine, sfociata in una guerra assurda. Eritrei e tigrini sono "cugini di sangue" per lingua, cultura e religione; i loro leaders erano amicissimi: insieme avevano combattuto contro l'impero etiopico e il regime di Menghistu. Allora perchè la guerra?
A monte ci sono una serie di picche e ripicche reciproche. Per affermare la propria indipendenza, l'Eritrea staccò i contatti telefonici col resto del mondo, rifiutando il prefisso dell'Etiopia (1991). L'Etiopia vede con apprensione la troppa indipendenza: potrebbe essere un cattivo esempio per i movimenti secessionisti che covano dentro i suoi confini. Nel 1997 l'Eritrea introdusse la propria moneta, il nafka, in sostituzione del birr etiopico. Addis Abeba ne rifiutò la parità e pretese che ogni transazione avvenisse in dollari. Asmara aumentò le tasse di transito; l'Etiopia dirottò i traffici dai porti di Massaua e Assab a quello di Djibuti, con danni economici e commerciali per entrambi i paesi, L'introduzione del nafka ha posto il problema di dogane e frontiere: fino a quel momento i confini erano semplici limiti amministrativi; gli accordi commerciali rendevano irrilevanti le barriere doganali. Quando si trattò di fissare i confini nazionali, i dispetti reciproci sfociarono in guerra aperta. Tre militari eritrei, accorsi a ispezionare le frontiere, furono uccisi dai miliziani tigrini (maggio 1998). L'esercito eritreo occupò alcuni villaggi del triangolo di Badme, una zona inospitale anche per le capre, ma che Asmara rivendica come territorio nazionale, in base alle mappe tracciate negli anni dell'occupazione coloniale italiana. Addis Abeba rispose con la mobilitazione generale: estende il conflitto ad altre zone controverse (Zelambesa e Burie), per oltre 1000 km, e bombarda alcune città eritree, facendo decine di vittime anche tra civili. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu impose a più riprese l'ordine di cessare il fuoco, ma riuscì solo a fare sospendere le incursioni aeree. Le stagioni delle piogge bloccarono cannoni e carri armati da giugno a ottobre; ma i combattimenti riprendevano con la stagione secca. Nel 2000 l'esercito etiopico penetrò nel territorio eritreo, facendo prigionieri e causando altre morti e distruzioni. Al tempo stesso cresceva la guerra di propaganda, accusandosi reciprocamente a chi aveva sparato il primo colpo. L'Etiopia espelleva 60 mila eritrei; Asmara fece lo stesso con 10 mila etiopi. Le organizzazioni umanitarie parlarono di "pulizia etnica".
Dopo 31 mesi di guerra, i contendenti hanno accolto l'ultimatum dell'Onu: alla fine del 2000, ad Algeri firmarono il cessate il fuoco e un abbozzo di accordo di pace, impegnandosi ad "attenersi senza indugi" alle decisioni della Commissione di arbitraggio internazionale dell'Aja per stabilire la nuova frontiera. I due eserciti si sono ritirati dalle loro postazioni e 4200 Caschi blu si sono insediati lungo i 1000 km di confine, in una zona cuscinetto larga 25 km, per monitorare e garantire il cessate il fuoco. Dall'aprile del 2002 la nuova frontiera è stata tracciata; il 28 marzo scorso è stato pronunciato il verdetto finale: Badme, dove avvenne il primo scontro è in Eritrea. Addis Abeba mastica amaro: vari politici lanciano minacce, facendo crescere l'allarme di una ripresa delle ostilità. Sui giornali la questione di Badme viene definita "questione di vita o di morte" per l'Etiopia, distogliendo l'attenzione da milioni di cittadini che in questi mesi rischiano di morire realmente, di fame. Tra Etiopia ed Eritrea continua la più totale incomunicabilità diplomatica, telefonica e postale, aerea e stradale. I due vecchi amiconi non vogliono vedersi neppure in fotografia; anzi, si insultano con feroce odio e rancore. Meles dà del fascista ad Afwerki, e non a torto: in Eritrea i più elementari diritti umani sono carta straccia. Afwerki risponde dandogli del pazzo, rinfacciandogli che, se ad Asmara gli oppositori sono imprigionati, Addis Abeba soffoca nel sangue le proteste. La pace non è certo dietro l'angolo. Odi e rancori sono ferite sanguinanti: la guerra è costata dai 70 ai 100 mila morti e oltre un milione di profughi; molti di questi, eritrei soprattutto, non possono ritornare ai propri villaggi, perchè i confini sono infestati da 2 milioni di mine.
Ora tacciono i cannoni, ma entrambi gli eserciti sono ancora in armi. In tutti e due i paesi il potere è ancora in mano ai soldati e guerriglieri che, per 30 anni, hanno conosciuto solo il linguaggio delle armi. Sarebbe necessario un ricambio di personale, ma il processo democratico è bloccato. L'Etiopia sembra fare qualche sforzo in più sulla via della democratizzazione. In Eritrea, le prime elezioni democratiche, previste per il 2001, sono posposte a una data indeterminata. Nonostante i proclami bellicosi, tuttavia, i governi di Asmara e Addis Abeba hanno capito che una soluzione dei problemi con le armi è ormai impensabile; ne uscirebbero entrambi perdenti, sia in prestigio che in termini economici. Anche perchè i cosiddetti "paesi donatori" non sono più disposti a concedere ulteriori aiuti e assistere allo spreco di risorse in una guerra assurda. Non resta che la via dei negoziati per inventarsi una nuova convivenza. I colloqui di pace continuano, dibattendo le questioni di due anni fa: uso dei porti, commerci transfrontalieri, dispute monetarie, incertezza dei confini coloniali. Tutti problemi che sarebbero potuti essere risolti a tavolino, senza spargimenti di sangue, devastazioni economiche e ferite psicologiche difficili da rimarginare.
aggiornamento pagina: 8 Novembre 2003 |
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